Si sente spesso citare il residuo fisso dell’acqua. Ma cosa definisce questo parametro? E basta davvero per giudicare la qualità dell’acqua da bere?
Il residuo fisso è sicuramente l’indice più noto tra quelli che classificano le acque minerali. Negli ultimi anni sono sempre di più le pubblicità che mettono l’accento su questo parametro, generando talvolta confusione nei consumatori. Il messaggio che sembra passare è che le acque a basso residuo fisso siano quelle da preferire. Tuttavia, non ci stancheremo mai di ripeterlo, non esiste un’acqua migliore delle altre. La scelta dell’acqua da bere deve tenere conto delle esigenze individuali, dunque dello stato di salute e dello stile di vita, ma anche del gusto. Alcuni prediligono infatti acque dal gusto delicato o più equilibrato, mentre altri sono più attratti da acque dal gusto deciso.
Detto questo, vediamo nel dettaglio cosa indica il residuo fisso, come viene calcolato e in che modo determina la classificazione delle acque minerali.
Residuo fisso: cos’è e come viene misurato
Il residuo fisso dell’acqua indica il contenuto totale di sali minerali disciolti in un litro. Per misurare questo parametro il campione d’acqua viene riscaldato fino alla sua evaporazione a secco a 180°. La parte “solida” rimanente, composta dai sali minerali, viene espressa in milligrammi per litro (mg/L) e indicata sull’etichetta dell’acqua.
Quando si parla di acque con residuo fisso alto o basso, si parla quindi di acque più o meno mineralizzate. La quantità di sali minerali e oligoelementi di un’acqua è legata alla tipologia del luogo d’origine e ai terreni con cui viene a contatto prima di raggiungere i punti di prelievo. Questo chiarisce perché il residuo fisso non è un elemento sufficiente per giudicare la qualità di un’acqua.
Residuo fisso dell’acqua e classificazione
A partire dal 1980 la normativa italiana ha adottato una classificazione quantitativa, distinguendo le acque in base al residuo fisso, dunque alla minore o maggiore concentrazione di sali minerali. Abbiamo così le seguenti acque:
- Acque minimamente mineralizzate: R.F. < 50 mg/L
Sono le acque con il minor contenuto di sali minerali, quelle che in genere vengono dette “leggere”. Stimolano la diuresi e sono consigliate a chi soffre di calcolosi e a chi segue una dieta povera di sodio. Sono inoltre le acque più indicate per la ricostruzione del latte in polvere dei neonati. - Acque oligominerali: R.F. 51 – 500 mg/L
Contengono tracce di oligoelementi e una moderata concentrazione di sali minerali. Hanno un buon effetto diuretico e sono quelle più consumate in Italia. - Acque ricche in sali minerali: R.F. > 1500 mg/L
Sono acque che superano il residuo fisso massimo ammissibile dalla legge per le acque potabili. Sono spesso ricche di sali minerali come Magnesio, Solfati, Cloruri, e per questo vengono anche usate per scopi curativi; in tal caso la loro assunzione andrebbe sempre valutata da un medico.
Osservando questi valori si può notare che la normativa ha lasciato fuori dalla classificazione tutte le acque con residuo fisso tra 500 e 1500 mg/L. Un buco non di poco conto, se consideriamo che in quel range rientrano circa 50 delle oltre 280 acque minerali presenti sul mercato italiano. Per comodità potremmo definirle:
- Acque mediominerali: R.F. 501 – 1500 mg/L
Per comprendere le caratteristiche anche di queste acque non basta una suddivisione quantitativa, ma dovremmo analizzarne la composizione qualitativa. Si tratta di acque in gran parte ricche di bicarbonati, che vengono consigliate soprattutto per stimolare l’attività dell’apparato gastroenterico. Sono inoltre adatte durante l’estate e per chi fa sport, perché permettono di reintegrare liquidi e sali minerali che si perdono con la sudorazione.